Ride, Giacomo Poretti. Con la sua classica smorfia, quel ghigno di chi lavora sodo, di chi sa che per raggiungere obiettivi alti bisogna sudare parecchio. Lui che, nel 2019, ha deciso di riaprire il Teatro Oscar, prima di venire travolto dalla pandemia e riveder la luce solo oggi. L’ho incontrato a margine della presentazione della stagione teatrale dello stesso teatro milanese. E son venuti fuori tanti, tanti temi interessanti.

Giacomo, parto subito con una domanda difficile: perché venire al teatro Oscar quest’anno?

«Eh, bella domanda, Ce la siamo posti anche noi quattro anni fa, quando ci siamo detti: ‘Ma ci sono 60 teatri a Milano, perché dobbiamo aprirne un’altro?' Il perché è il titolo della stagione, ‘La vita degli altri’. Noi siamo convinti che gli altri abbiano idee diverse, convincimenti diversi, paure diverse, desideri diversi e solo conoscendo tutte queste cose, degli altri, possiamo trovare un equilibrio, una sorta di socialità condivisa. Rispettandoci per le nostre diversità».

Una bella base di partenza...

«Possiamo possiamo andare avanti, certamente. C’è spazio anche per un'altro teatro. E soprattutto c’è spazio perché noi vogliamo che il Teatro Oscar diventi il teatro dell'anima, cioè che si occupi proprio di anima». 

Voi lavorate molto per cercare di portare e riportare la gente a teatro. Suona strano pensare che i teatri siano vuoti in un contesto, come quello milanese, dove i corsi universitari sono strapieni: come se lo spiega?

«È difficile da spiegare. Senza prendere scuse, il Covid ha dato uno scossone a tutte le forme di spettacolo. Penso alle sale cinematografiche, che hanno perso moltissimo a favore di altre piattaforme di fruizione che sono esplose. Non è detto che questo muoia definitivamente, ma certo, sono momenti di crisi, di riflessione. Il teatro ha vissuto la stessa cosa, l’impossibilità a frequentarlo. Adesso si riprende, ma soprattutto sono i giovani, che non non sono stupidi e nemmeno superficiali, che vanno coinvolti. Perché semplicemente non conoscono questa forma di espressione».

Cioè?

«Per loro è inconsueta perché non è nata e non è fruibile nel web. Noi sappiamo che il teatro è carnalità, è spettacolo dal vivo. E il pubblico apprezza i live, guardate i concerti. Quindi, con pazienza, vogliamo richiamare soprattutto i giovani, che non sanno cosa sia il teatro, sperando che rimangano molto sorpresi». 

Il teatro Oscar ha un cartellone molto milanese: da Bertolino a Giovanni Storti, Giacomo Poretti e molti altri. Come sta la comicità milanese? 

«L'impronta milanese è importante ma attenzione, perché sta cambiando un po’ tutto. Diciamo i nomi che lei ha detto, dal sottoscritto a Giovanni Storti, Bertolino, Moni Ovadia, Lella Costa... siamo un po’ la quota anziani (ride, ndr). Lo dice l’anagrafe. Però ora si stanno affacciando proposte molto interessanti che arrivano dal web. E a noi piace l’idea di questo confronto».

Qualche nome?

«I Pantellas, ad esempio. Ma anche i TheShow e molti altri. Quindi perché non provare?».

I nomi che lei ha citato vengono definiti, a torto o a ragione, dei veri e propri influencer.

«Le due cose, comico e influencer, si stanno confondendo e mescolando. Una volta era solo lo spettacolo a comandare, ora decide il pubblico. E diventa quasi paradossalmente, come detto, più importante l’influencer».

E Giovanni Storti, è un influencer o un comico?

«So che Giovanni non vorrebbe sentire quella parola, si incavola e ha ragione. Ma di fatto è un influencer e lo fa con la sua ironia, con la sua simpatia. Forse bisognerebbe ragionare sul significato della parola: l'influenza è per davvero o è solo un gradimento del pubblico? Temi interessanti, con i quali vorremo confrontarci nel futuro». 

Facciamo finta che siamo arrivati a fine stagione teatrale, che cosa farebbe sentire bene Giacomo Poretti, qual è il suo sogno? 

«Il teatro sempre pieno è scontato, se capita siamo contenti. A me personalmente piacerebbe vedere tanti ragazzi; e convincerli, con la qualità, che il teatro è un luogo magico, molto particolare. Non è come un reel di Instagram, senza voler sminuire chi fa anche contenuti estremamente belli ed accattivanti. Sul palco si sta almeno un'ora, dopo che ti sei preparato per mesi. È una vera esperienza di vita, che spero possa incuriosire i ragazzi. È la sfida più grossa».