L’ospite della terza puntata del mio podcast ‘Green Team campioni di sostenibilità’ è l’architetto Stefano Boeri, che ci racconta la città del futuro che sogna come “Un arcipelago di quartieri con una certa autonomia a livello di servizi, con sistemi verdi di connessione in cui muoversi semplicemente a piedi”.

L'edilizia è responsabile per il 40% delle emissioni totali nel mondo di CO2. Un dato che deve far riflettere e andiamo a parlarne con l'architetto per eccellenza, Stefano Boeri. Che cosa vuol dire oggi fare l'architetto? E' un lavoro che è cresciuto nella sua complessità?

"Noi costruiamo degli oggetti che sono esposti al sole e al vento, poggiano su un terreno dove c'è o manca acqua. L'architettura non è più solo un problema di estetica, ma anche energetico. Trasformare tutte le case in centrali di assorbimento di energia pulita è una sfida straordinaria su cui stiano tutti lavorando".

A Milano abbiamo l'esempio del Bosco Verticale, che casualmente è stato fatto proprio da Stefano Boeri. Oggi l'architetto è chiamato a trovare delle idee innovative?

"Questo dovrebbe essere sempre dentro nel fare architettura. Il modo più bello per fare questo mestiere è non limitarsi a dare una risposta precisa al committente, ma aggiungere un valore di utilità sociale, quindi per esempio costruire qualcosa che oltre a far abitare bene le persone abbia il tetto che assorbe il calore del sole. Tutto questo ci aiuta a dare un valore aggiuntivo".

Il Bosco Verticale è stato traslato in altre città come Tirana...

"Ogni volta cerchiamo di migliorare”.

C'è un bel progetto di sostenibilità sociale che state portando avanti a Eindhoven...

"E' un Bosco Verticale in social housing con dei costi d'affitto ridotti. E' una sfida vinta, sono tutti molto contenti, sia gli umani che le piante che i volatili".

Uno dei grandi temi delle case nuove è quello dei costi, che sono enormi. Quali sono i motivi?

"Sono diversi, a partire da un problema di scarsa offerta a fronte di una domanda sempre più vasta. Quello che manca oltre a costruire case di edilizia popolare pubblica è rispondere a chi non riesce ad accedere al mercato dell'affitto libero. Parliamo di una fascia di giovani che fa molta fatica, a cui l'edilizia sociale negli altri Paesi d'Europa dà risposte: in Italia no".

Faccio un passo indietro: come è nata nella testa di Stefano Boeri l'idea di diventare architetto?

"Io volevo fare oceanografia, ma mia mamma faceva l'architetto e ho capito quando avevo 18 anni che avevo fatto di tutto per non infilarmi sugli stessi binari, ma la passione mi portava lì. Nel modo in cui ho cercato di fare urbanistica mi è tornato utile anche quello che mi aveva spiegato mio padre che faceva il neurologo. Una città funziona come un cervello con le sue connessioni".

Se dovessi consigliare ai giovani un percorso di studi, che cosa dovrebbero fare?

"E' una bellissima domanda. La prima cosa che dico è seguire le vostre ossessioni, che non vanno rimosse, ma accettate e coltivate. Sono l'energia vera di quello che facciamo. Naturalmente se possibile è importante viaggiare e farsi un paio di esperienze all'estero. La mia generazione era fortunata ma oggi andare in Cina è incredibile, così come negli Stati Uniti, in Africa o in India".

I maestri vanno seguiti o copiati?

"I maestri sono quelli che ti trasmettono un modo di pensare. Da allievi di Bernardo Secchi tutti abbiamo una certa impronta, una certa attenzione al rapporto tra teoria e pratica. Ci piace legittimare le scelte".

Hai fatto tantissimi lavori in giro per il mondo, qual è quello di cui vai più orgoglioso?

"Io ho una grande passione per un progetto fatto nel 2011 per Marsiglia capitale della cultura europea che è il centro della ricerca mediterranea. Oggi ospita una ricostruzione di una grotta con graffiti straordinari che sta per essere sommersa dal livello del mare. E' un'architettura che fin dall'inizio ha al suo interno sia il mare che il cielo, unendo le mie due passioni nella città più bella del mondo".

E il progetto riuscito meno bene?

"E' la sede dell'RCS, fatta ormai 20 anni fa. Un progetto partito con grandi ambizioni ma come succede spesso i costi sono stati poi ridotti".

Il sogno ancora da realizzare?

"Lo stadio dell'Inter, ma anche del Milan. Ho già molte idee di uno stadio bosco, che coinvolge la natura vivente e ridà al prato il suo valore".

Come ti auguri che sarà la città del futuro?

"Un arcipelago di quartieri con una certa autonomia a livello di servizi con sistemi verdi di connessione in cui muoversi semplicemente a piedi. Ciascuna isola deve avere una funzione che attira tutti gli abitanti della metropoli. Non c'è mai l'idea di un ghetto ma di una relazione. E al centro di tutto un parco o una montagna e non una chiesa o una piazza".

Come temi che possa diventare invece la città del futuro?

"Temo che possa diventare una gigantesca proliferazione di piccoli edifici senza nessuna logica come già vediamo succedere attorno a noi. Si perde il senso d'appartenenza e di città, in una nebulosa indefinibile".

Questo potrebbe essere lo scenario per Milano?

"No, questo non deve succedere. Milano è una piccola metropoli intensa. Oggi dobbiamo accettare la sfida di allargarci a tutto l'hinterland, mantenendo il sistema di parchi che ci farà diventare una delle città più belle del mondo".

L'Europa deve essere considerata una mega-city interconnessa: è un progetto realizzabile?

"E' un progetto realizzato. L'Europa è quasi completamente urbanizzata, ad eccezione delle Alpi, con una grande varietà di culture e architetture. Questo rapporto è la nostra ricchezza".

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